Dal 1999, sostengo in prima persona la valorizzazione del talento femminile, nella tecnologia, nell’innovazione e nella ricerca scientifica e attraverso Women&Technologies® (progetto di innovazione sociale nato prima in azienda e poi trasformato in associazione nel 2009) sono riuscita a dimostrare che il binomio donne e tecnologie è vincente.

Ecco il mio punto di vista nell’articolo qui di seguito tratto dall’intervento che feci al Forum organizzato dal Ministero delle Pari Opportunità nel Gennaio 2000.

Donne: casa, lavoro e “nuovo mercato”

perché la Rete è una opportunità

Forum organizzato dal Ministero per le Pari Opportunità
Mostra d’Oltremare
Napoli, 28 – 29 Gennaio 2000

Qualsiasi organizzazione di persone è fondata su obiettivi condivisi e ruoli definiti per raggiungere meglio gli obiettivi. Questo vale per la famiglia, per le istituzioni pubbliche, per le imprese, per le associazioni. Ogni società funziona così. Gli obiettivi identificati determinano le funzioni e, di conseguenza i ruoli; questi vengono esercitati dai membri della società i quali, in tal modo, raggiungono individualmente e collettivamente gli obiettivi prefissati.

Storicamente, il “ruolo femminile” è stato associato al “sesso femminile”. Sia nella famiglia che nel mondo del lavoro. Non è chiaro, tuttavia, che cosa significhi esattamente ruolo femminile. L’unica funzione legata al ruolo femminile ed esercitabile solo da donne è la procreazione. Tutto il resto può essere svolto da persone di sesso qualunque. Viceversa, non esiste funzione legata al ruolo maschile che non possa essere svolta anche da donne, soprattutto da quando i servomeccanismi hanno permesso agli umani con minime risorse fisiche di pilotare anche trasformazioni che richiedevano grande energia. Dunque, apparentemente le donne, in quanto tali, hanno dei vantaggi sugli uomini: possono fare tutto quello che fanno gli uomini, mentre il contrario non è vero.

Se la questione fosse solo in questi termini, non avremmo bisogno di un Ministero delle pari opportunità. Sfortunatamente è vero che nel mondo del lavoro le donne, in media, contano meno. E’ anche vero che con una certa velocità le cose cambiano. Analogamente avviene nella famiglia: il ruolo della donna è sempre meno subordinato. Perché? Esistono correlazioni fra i cambiamenti nel “pubblico” (il lavoro, le professioni) e nel privato (la famiglia)?

Certo: la nostra tesi è semplice: “contare” significa avere prestigio, autorevolezza, in una parola “potere” nel senso della capacità e della libertà di decidere. Se le sorgenti di questo potere, sia nella famiglia che nella società, cambiano, allora possono cambiare anche i destinatari. Noi pensiamo che, a causa o grazie alla Rete WWW, sia ciò che sta avvenendo: un progressivo e rapido cambiamento delle condizioni di lavoro, dei contesti di valutazione delle attività produttive e dunque delle sorgenti del potere.

Tradizionalmente, sia il potere familiare che quello sociale erano legati alle origini, ad esempio nobiliari, prima delle “rivoluzioni”, o al censo, dopo. Nell’ultimo secolo, ad esempio, il modello del successo americano ha mostrato che si poteva arrivare presto ad emergere accumulando molto denaro, anche se le origini erano umili. Nel modello capitalista chi ha il capitale comanda. Ancor oggi. Non basta avere buona volontà, idee, forza fisica: è indispensabile avere un finanziatore. Il denaro va dove ci si aspetta che ci sia il migliore ritorno a minor rischio e nel più breve tempo possibile. Questo di solito avveniva – salvo eccezioni – quando l’impresa da finanziare aveva mostrato di essere forte sul mercato esistente, nell’ipotesi che il mercato non cambiasse significativamente a breve termine.

Di fronte agli ultimi sviluppi della Borsa riguardo al Nuovo Mercato, sembra che questo modello non sia più l’unico possibile: la finanza non segue più soltanto le imprese che guadagnano già, ma soprattutto quelle che ci si aspetta che guadagnino a medio termine, anche se oggi perdono. L’esempio italiano più recente è Tiscali. Viene premiato chi ha migliori intuizioni, non chi ha più fatturato o profitti. Molte piccole imprese promettenti, anche se con piccoli fatturati, raccolgono impensabili quote di fiducia dal mercato, sia entrando in Borsa che vendendosi a caro prezzo a grandi concentrazioni aggressive. Guadagna, si impone, ha successo non chi è più forte oggi, ma chi ci si aspetta che sarà forte domani grazie alle sue idee, competenze, intuizioni. E le donne?

Tradizionalmente le donne sono il sesso debole. Nella civiltà del sesso forte, faticano a guadagnare prestigio, autorevolezza, potere pari alle loro capacità di persone e dunque pari alle persone di sesso maschile. Se le regole del successo economico spostano l’attenzione dal successo pregresso alle potenzialità, e dalla forza sul mercato alle competenze è chiaro che le categorie tradizionalmente meno avvantaggiate, come le donne, hanno una straordinaria opportunità di competere alla pari. Le “pari opportunità” diventano una conseguenza del cambiamento delle regole. Nella società come nella famiglia.

Non è dunque un esercizio astratto analizzare se e come, a quali condizioni e con quali processi, nella Società dell’Informazione esistono opportunità per le donne. Scritto da una donna, potrebbe sembrare una difesa della categoria oppure un suggerimento a seguire strade che privilegino nel futuro a breve, gli interessi e le aspirazioni della categoria. Un esempio recente di questo atteggiamento è costituito dalle leggi elettorali che riservano alle donne una parte dei seggi da assegnare. Non è questa la mia intenzione.

Al contrario, sono convinta che anche in assenza di interventi che facilitino le pari opportunità (che sono benvenuti, naturalmente!), la crescita dell’importanza delle donne nel mondo del lavoro sia una necessaria conseguenza delle cose. Dunque, guardando ciò che affermo come il messaggio di una imprenditrice nel terziario avanzato, esso diventa una dichiarazione di stile o missione aziendale per facilitare il successo in generale dell’imprenditoria, che dall’opportunità donna può trarre importanti vantaggi. Cambia l’azienda, cambia la società ed abbiamo tutti bisogno della risorsa “donna” perché essa è ancora latente e sottoutilizzata rispetto alle sue potenzialità. Attenzione: non si sostiene che le donne sono preferibili in quanto donne, ma che molte delle caratteristiche emergenti della nuova Società dell’Informazione possono vederle in modo naturale come interpreti di funzioni e ruoli che sono loro congeniali per motivi storici e che sono ben lontani da essere subordinati.

La globalizzazione dei mercati

Tutti sanno che la globalizzazione dei mercati è soprattutto conseguenza dell’accesso all’Informazione grazie alla Rete.

La nostra visione del “mercato” è quella di scambio beni e servizi, materiali o immateriali. Ogni scambio è costituito da una conversazione, delle decisioni, un contratto: promesse, obblighi, e così via. In questo senso molto generale, anche lo scambio di informazioni è una forma di mercato: ti dico questo perché mi interessa che tu lo sappia, oppure perché mi aspetto che tu mi ricompensi dicendomi qualcos’altro, o dandomi una cosa. Lo scambio di beni e servizi, materiali o immateriali, da parte di singoli o di organizzazioni umane è ciò che chiamiamo mercato; esso diviene globale grazie alla Rete. Il fondamento della globalizzazione è lo scambio rapido e planetario di messaggi, la comunicazione. La motivazione degli attori di questa comunicazione globale è quella di sempre: vivere meglio, guadagnare, imparare, divertirsi e così via. Esattamente come prima, le persone operano per risolvere problemi, costruire oggetti, prendere decisioni, onorare promesse. Esattamente come le istituzioni, le aziende, le società. Ma se il contesto di queste attività è globale, cambia parecchio il modo di operare.

Innanzitutto si sposta il centro dell’attenzione di ogni azienda dalle attività di produzione e vendita di beni a quelle di costruzione e negoziazione, scambio di servizi: essenzialmente costruzione e scambio di Conoscenza. Gli oggetti come tali contano sempre meno in senso relativo, la Conoscenza sempre di più. L’industria della Conoscenza è, direttamente, la somma dell’industria dei contenuti (editoria), delle tecnologie di trasmissione (telecomunicazioni) e dell’informatica (hardware e software). Indirettamente, l’industria della Conoscenza pervade trasversalmente tutte le altre: ogni istituzione umana, azienda, scuola, ospedale, comune, eccetera ha bisogno di contenuti, di trasmissione dei contenuti, di elaborazione dell’informazione, di sistemi di gestione della comunicazione fra macchine ed umani, interni ed esterni, che sfruttino le cosiddette nuove tecnologie, per operare. Sempre e dovunque. Tutto il funzionamento di qualunque impresa dipende in modo cruciale dall’efficacia del lavoro umano, sempre più intellettuale, nella collaborazione, nel dialogo via Rete. Il valore aggiunto aziendale è dato dalle risorse umane e dalla loro capacità di comunicare e decidere. Né il capitale, né il basso costo delle materie prime, né il mercato già conquistato sono più tanto rilevanti quanto le persone e le loro capacità, le loro competenze. Se ciò è vero, allora dovremmo quotare il capitale umano perfino nei bilanci …! Ma di seguito vediamo alcune conseguenze di quanto detto sopra.

Nelle aziende non interessa più quanto tempo si lavora, dove si lavora, come si lavora ma quale è il risultato del lavoro. Il dipendente non produce più valore aggiunto per l’azienda solo eseguendo ordini ma inventando soluzioni. Cioè trasformando l’Informazione a sua disposizione in Conoscenza per decidere. L’Informazione, in sé, non conta molto: in Rete ce n’è spesso anche troppa. Quello che serve è selezionare e decidere.

Da questo segue che le competenze richieste cambiano: da verticali (ingegneria, medicina, lettere, legge, …) diventano orizzontali (cultura del formale: astrarre e generalizzare da situazioni reali, nuovo umanesimo: il linguaggio nei suoi aspetti semiotici e pragmatici, l’arte come capacità di comunicare messaggi che evocano sentimenti, la filosofia come capacità pre-scientifica di cogliere l’essenza delle questioni e legarla in sintesi logicamente utili per capire le situazioni, l’espressione e la comunicazione scritta ed orale come mezzo fondamentale di costruzione collettiva di soluzioni dunque strumento di relazione e di leadership, …; la cultura dell’innovazione: nulla resta statico, ogni punto di vista deve essere esplicitamente criticabile perché la realtà può cambiare rapidamente; innovare significa convincere gli umani ad operare in modo diverso, e non solo comperare tecnologie, etc…).

Il diploma di studi non è più garanzia di competenze adeguate: quello che conta è saper ragionare, operare, dialogare, comunicare. Il potere tradizionale delle Università (leggi: i docenti) di garantire le competenze con il titolo di studio (diploma, laurea, …) non è più assicurato se chi vuole acquisire e garantire competenze per una professione (lo studente) può farlo in rete, direttamente da casa, presso prestigiose Università o addirittura direttamente presso le multinazionali. L’Università sotto casa non ha senso se non vale per le competenze che aiuta a costruire, dunque le Università entrano in competizione globale anche loro.

Analogamente, nel campo commerciale, la “rendita” dovuta alla localizzazione geografica, ad esempio, delle iniziative commerciali viene drammaticamente eliminata dal commercio elettronico. Finora se ne sono accorti in pochi, ma le cifre sono eloquenti. Ancora: le intermediazioni un tempo indispensabili per accedere al posto di lavoro diventano progressivamente inutili, se non dannose sia per chi offre che per chi cerca lavoro dal momento che in Rete si può scegliere di più e meglio.

Dunque, a causa delle tecnologie – o grazie alle tecnologie – si verifica un importante cambiamento nelle modalità di comunicazione dunque di lavoro e di vita. Questo cambiamento può rimescolare parecchie carte, invertire storiche priorità, rimuovere incontestati privilegi, contraddire inossidabili verità che tali non sono più. Vediamone alcune, soprattutto legate alle donne.

Cinque opportunità legate al ruolo femminile

Tutti pensano che le donne siano portate per le discipline umanistiche, di relazione, sociali. Non sono portate per le tecnologie, i commerci, le professioni “economicamente rilevanti”. Molti pensano che questa caratteristica sia negativa per le donne. Sfortunatamente non si sono resi conto che con la Rete la sola tecnologia non basta, anzi non serve proprio: conta la sinergia fra tecnologie e contenuti. Questi non sono “i Dati”, e neppure “l’Informazione” ma la capacità di confezionare decisioni ed azioni a partire dall’Informazione acquisita grazie alla comunicazione in Rete. Dunque la cultura, che non è né solo umanistica né solo scientifica, conta più della specializzazione.

C’erano una volta le gerarchie: erano perfettamente funzionali alle organizzazioni che dovevano perseguire dei fini in un contesto ben definito e stabile. Ad esempio: produrre e vendere beni. Oppure fornire servizi. Nelle organizzazioni gerarchiche il ruolo definisce l’autorità. Le donne, di solito legate a ruoli meno importanti, eseguivano. Oggi queste organizzazioni gerarchiche sono in via di scomparsa, per la banale ragione che il contesto cambia con una tale rapidità che è necessario che ognuno, nell’organizzazione, si adegui ai cambiamenti assumendo delle iniziative. Le gerarchie sono sostituite dalla leadership nel lavoro di gruppo. Un’arte che le donne hanno sempre saputo esercitare per guadagnare spazi di autonomia, sia in famiglia che nel lavoro: convincere gli altri con degli argomenti, in assenza di autorità ereditata o legata al sesso (maschile). Essendo spesso state loro affidate le responsabilità senza contemporaneamente fornire loro il mandato decisionale – e le decisioni sulle risorse- esse conoscono l’arte della mediazione, la cultura dell’ascolto, la pazienza dell’attesa, la modestia rispetto alla complessità dei problemi e la tenacia nel perseguirne le soluzioni. Naturalmente queste caratteristiche non le hanno solo le donne! Ma sono loro che per motivi di storia hanno dovuto più degli altri coltivarle per difendersi, migliorare, crescere.

Ancora: le donne come senso del rischio. Una volta rischio era sinonimo di impotenza e di follia. Chi ha già, si guarda bene da rischiare, perché sa che non potrà che avere di più, anche stando fermo, senza rischi. L’imprenditorialità parte dal presupposto che il futuro possa essere diverso dal presente, ed in particolare migliore se scegliamo nella direzione giusta. L’imprenditorialità è come l’arte o la scienza: si rischia inventando. Non è così importante quanto denaro abbiamo già, per intraprendere in una nuova impresa. E’ importante sentire una missione imprenditoriale e perseguirla con tenacia. Analogamente: l’artista non è nato artista, lo diventa, piano piano, perché ama esprimere emozioni e sentimenti; magari rischiando un riconoscimento postumo. Analogamente, lo scienziato più studia, esperimenta, ricerca e più scopre di essere ignorante: ma continua, insiste perché crede nella sua creatività, nell’utilità della sua opera, nel successo non solo personale ma collettivo. Nessuna delle tre attitudini possono essere inquadrate come esecutive, subordinate, impiegatizie: non esistono ricette, guide, manuali per il successo in queste direzioni. Lo si fa perché ci si crede e si sfida il futuro. Cosa c’entrano le donne? Be’, parecchio! Chi ha letto “l’elogio della follia” capisce a cosa mi riferisco. Se è vero che le donne vivono più di istinto che di ragione (tutto da verificare, peraltro! E cosa è l’istinto senza la ragione, o viceversa?) allora sono esse le candidate imprenditrici, artiste, scienziate. Nella società in via di scomparsa, quella del cambiamento lento, dai tempi delle generazioni, chi rischiava non aveva molte speranze. Nella Società della Conoscenza non è più così: il cambiamento è la realtà e la Rete è l’unico mezzo per permetterci di seguirlo, mai da soli, sempre in gruppo, dialogando, comunicando, scambiando. Il coraggio, la tenacia, l’intelligenza, la capacità di relazione sono elementi economicamente rilevanti, sempre più, più del denaro, dell’autorità, del potere pregresso. Le donne hanno una opportunità straordinaria. Anche gli uomini, naturalmente: quelli che sanno essere persone ed accettare, come spesso sanno fare le donne, di essere messi in discussione dalla realtà.

Le donne come le uniche che “devono conciliare” casa e lavoro: ci sono tempi e luoghi chiamati casa, ed altri chiamati lavoro. Una rigorosa divisione territoriale, funzionale, relazionale. Col telelavoro, con i meccanismi asincroni di comunicazione via Rete (vedi posta elettronica, ma anche messaggeria vocale …), con le videoconferenze queste divisioni sfumano, e con esse i criteri che storicamente hanno limitato la realizzazione professionale per le donne. Nello stesso tempo anche gli uomini, costretti dal lavoro alla lontananza fisica da casa e dunque talvolta emarginati rispetto all’esercizio della loro responsabilità maschile in ambito familiare, non possono che avere vantaggi dallo sfumare dei vincoli territoriali come quelli citati.

Le donne come custodi principali della armonia fra generazioni: bambini, adulti, anziani. Un’altra barriera fra chi sa e chi non sa, chi produce e chi non può ancora produrre o non può più farlo perché anziano. Un’altra limitazione abbattuta: sono i giovani che insegnano agli altri, sono gli anziani che possono avere il tempo e l’esperienza per acquisire quelle conoscenze remote (ad esempio: via Rete) che prima non erano accessibili, tutti sono un po’ più uguali perché sesso ed età contano sempre meno rispetto ad entusiasmo nella scoperta, intelligenza nelle scelte, curiosità nello scambio con gli altri.

La Rete non è tutto, ma permette molto, molto di più di quel che sembra. Per le donne ma anche per gli altri. Tanto da essere valutata indispensabile per il progresso umano perfino dalle Nazioni Unite, come l’acqua, il cibo, la casa. Tecnocrati fautori del “calcolatore del capitale”? Non credo, semplicemente attenti osservatori di un fenomeno planetario che non può essere minimizzato. Esattamente come è stato il caso della stampa. Ma con una velocità di impatto straordinariamente maggiore. Basta pensare che il telefonino è già arrivato in Bangladesh, talvolta prima del libro. Presto, magari, arriverà il telefonino calcolatore con connessione Internet e comandi vocali. Dove? Ma certo, nelle piccole aziende guidate dalle donne…!

Gianna Martinengo

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