Gianna Martinengo è l’imprenditrice pioniera dell’innovazione che rilancia il ruolo delle donne nelle tecnologie emergenti, grazie al suo impegno costante e alle sue iniziative concrete

Intervista di Anastasia Latini per TheSocialPost

Quando si parla di donne e tecnologia in Italia, Gianna Martinengo non può che essere una delle figure di riferimento. Il tema della partecipazione femminile all’innovazione tecnologica e scientifica è centrale, soprattutto in questi anni in cui la velocità di trasformazione delle nostre vite è determinata dal sempre più rapido avanzamento degli strumenti a nostra disposizione, in ogni ambito della quotidianità. Eppure, le donne stentano a trovare il giusto riconoscimento per gli sforzi compiuti nell’ambito tecnico-scientifico, dove perdurano stereotipi legati alla presunta incompatibilità del genere, come testimoniano le drammatiche cifre delle donne che si dedicano alle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) nelle università, o a capo di aziende che operano nell’high tech.

Un paradigma che Gianna Martinengo ha rovesciato con la sua decennale presenza ai massimi livelli del settore, e di cui parla individuando i nodi e le criticità da scardinare per assicurare un progresso più equo e che dia più risultati. 

Gianna Martinengo, l’impronta femminile sull’impresa tecnologica in Italia 

Il curriculum di Gianna Martinengo è davvero ragguardevole. “Umanista di formazione e tecnologa per scelta”, come si definisce, nel 1983 ha fondato la prima web knowledge company italiana, dopo aver capito le potenzialità che i computer (in quegli anni in cui si apriva la loro epoca d’oro) offrivano durante una collaborazione che l’ha portata all’Università di Stanford.

Da lì l’ascesa è stata repentina, e oggi Martinengo vanta la creazione e il sostegno a centinaia di start-up, laboratori di ricerca e aziende tutte indirizzate verso l’innovazione tecnologica.

Il suo impegno le ha fatto guadagnare importanti riconoscimenti, come l’onorificenza di Cavaliere “Al Merito della Repubblica Italiana” e l’Ambrogino d’oro.

Una “pioniera” nel suo settore, con risultati frutto di un impegno costante e nella capacità di saper riconoscere e mettere in rilievo il proprio valore e quello degli altri. 

I primi passi nel mondo dei neonati algoritmi

Partiamo dagli esordi che, come ci racconta, sono stati segnati dagli studi in Lingue e Letterature alla Bocconi, percorso completato da corsi specialistici, “non c’erano i Master in quegli anni”, alla Cattolica di Milano,dove ha scelto di approfondire la Psicologia cognitiva e i disturbi dell’apprendimento. Grazie alla competenza nel suo campo di studi “sono stata poi invitata e scelta come consulente nel primo progetto mondiale di e-learning per l’insegnamento della lingua inglese come seconda lingua”, ricorda.

Non avevo mai visto un computer, e parlo del 1982. Ho avuto i miei primi due grandi maestri in due matematici importantissimi, Patrick Suppes, un logico matematico, e un probabilista statistico dell’Istituto di Matematica per le Scienze sociali dell’Università di Stanford. E quindi lavorando con loro ho capito che cos’erano da una parte i computer, dall’altra però tutta la parte legata all’ideazione e all’integrazione di contenuti con gli algoritmi”.

Nel 1985, un altro incontro ha cambiato le prospettive di Gianna Martinengo su quello che sarebbe diventata un’innovazione destinata ad avere un impatto senza precedenti sul mondo: “Ho avuto un’altra grande fortuna, quella di incontrare al convegno Children in the Information Age a Varna uno dei cinque informatici italiani che avevano scelto come settore di azione, di intervento e di ricerca l’intelligenza artificialeE con lui abbiamo co-fondato il primo laboratorio italiano di intelligenza artificiale dedicato in particolare all’apprendimento”. Per intenderci, è quello che oggi individuiamo come e-learning, anche se “adesso tutti parlano solo di machine learning, quindi siamo sul piano statistico e non sul piano dello studio del cervello.

L’intelligenza artificiale è il collante tra computer science e cognitive science, le scienze cognitive sono il linguaggio, la filosofia cognitiva, la pragmatica del discorso… Tutte quelle discipline, cosiddette umanistiche. Quindi la capacità di visione l’avevano i miei maestri, questo sicuramente”. Proprio il suo impegno focalizzato lì dove si consumava la rivoluzione tecnologica, è stata “la ragione per la quale la mia azienda è stata per anni più conosciuta all’estero che in Italia, perché noi eravamo in grande, grande ritardo”.

Women&Tech: l’alleanza di donne e tecnologie che risulta vincente

Queste esperienze con personalità di spicco in vari campi hanno sicuramente avuto un importante ruolo nell’ispirare Women&Tech, l’associazione fondata da Gianna Martinengo nel 1999, che si prefigge di realizzare percorsi condivisi in ogni ambito dell’innovazione, con particolare attenzione all’empowerment femminile. In quegli anni “ero imprenditrice e presidente del Terziario Innovativo di Assolombarda, e quindi il tema mi toccava, ma in realtà io la questione della parità non l’avevo mai affrontata. In quel momento, in particolare, non esisteva alcuna attenzione al tema della tecnologia cosiddetta ‘al femminile’. Ero un’imprenditrice tra le pochissime in Italia, e allora ho cominciato a riflettere sul binomio ‘donne e tecnologia’, ‘Women and Technologies’. In particolare, ero arrivata alla conclusione che da una parte le tecnologie erano molto utili per migliorare la qualità di vita delle donne, perché già allora si parlava di conciliazione tra lavoro e famiglia, ma anche per tutto ciò che allora era ancora un tema da pionieri, parlo del 1999, cioè il lavoro a distanza. Per me non era una novità, perché quando ero negli Stati Uniti (era il 1992) avevo un capo che lavorava in Arizona e io ero a Stanford“.

La spinta ad approfondire quale apporto potessero dare le tecnologie alla vita delle donne “derivava dall’incontro che avevo fatto negli anni, avendo fondato nella mia aziende due laboratori di ricerca, con giovani ricercatrici, e avevo capito che le tecnologie potevano fare molto per le donne, ma le donne potevano fare moltissimo per le tecnologie, proprio per quegli aspetti legati all’intelligenza emotiva, all’empatia, alla capacità di gestire conflitti, alla capacità di prevedere, al loro tipo di leadership. Tutte cose che, in un progetto realizzato insieme al Formez, avevamo identificato come competenze innate. Tutti questi aspetti che fanno parte oggi di competenze trasversali che si possono anche insegnare, ma che fanno riferimento alle competenze relazionali, considerate in buona parte, dai sociologi e dagli psicologi, le competenze cosiddette innate, nelle donne in particolare”.

Nel 2010, Martinengo collabora alla stesura di un Libro Bianco della Regione Lombardia incentrato su donne, lavoro e famiglia: “Mi ricordo di aver fatto un piccolo documento in cui spiegavo che tutti gli aspetti che venivano considerati negativi, le donne che si emozionano, le donne che privilegiano la famiglia nel momento in cui ci sono dei problemi, e tutta una serie di stereotipi sul femminile, erano in realtà dei vantaggi. Nel 2008, avevamo fatto un primo grosso convegno internazionale in cui si parlava già di emotional computing. Nel senso che già in quelle due parole si capisce come il punto di vista delle donne, e la specificità e quindi complementarietà delle donne, fosse importantissimo proprio per le tecnologie. La presenza delle donne nel mondo del lavoro e nel mondo della ricerca, e nel mondo della comunicazione, ha un impatto sociale. Io credo molto nella complementarietà e il punto di vista femminile è indispensabile non solo per le donne, ma anche per la società e quindi per l’altra metà del cielo, gli uomini”. 

Perché le donne sono ancora escluse dall’ambito tecnologico?

Nonostante la posizione dell’imprenditrice dovrebbe essere ormai assodata nel senso comune, la presenza delle donne nell’ambiente dell’innovazione tecnologica rimane tragica. Il report dell’Osservatorio Talents Venture con STEAMiamoci di Assolombarda rende noto che nell’anno accademico 2018-2019 solo il 18% delle donne iscritte alle università frequenta un corso STEM, dove le ragazze rappresentano meno della metà degli studenti, il 37%.

Per Gianna Martinengo a concorrere in questa situazione sono due aspetti: “Si parte dalla cultura, da una cultura che non c’è. Non solo, ad esempio, la presenza degli stereotipi nei libri di testo legate al mondo del lavoro e sul ruolo femminile rispetto a quello maschile, ma è la cultura della complementarietà nel nostro Paese che non esiste, e lo si vede e lo vediamo pesantemente nelle scelte” che vengono fatte dei percorsi universitari. “C’è un altro aspetto importante, che è la mancanza dell’orientamento istituzionalizzato”, commenta Martinengo, che con Women&Tech nel 2009 ha promosso Ready4Future, progetto d’innovazione sociale per guidare le nuove generazioni tra le professioni e i mestieri del futuro. 

Mi sono accorta che non c’era l’orientamento. Se tu vai in Svizzera i ragazzi vengono presi in cura dall’istituzione pubblica praticamente quando iniziano la scuola materna e lasciati all’università. Noi no. Quindi c’è un bisogno di capacità di orientamento straordinario nel nostro Paese, che parte dalla scuola materna, poi elementare, poi via di seguito“.

Per questo l’associazione promossa da Martinengo ha messo l’orientamento al centro dei suoi progetti, con attenzione a capire cosa richiederà il mercato del lavoro del futuro. “Abbiamo iniziato ad analizzare tutte le cosiddette tecnologie emergenti, quindi non solo il digitale ma anche le biotecnologie, i nuovi materiali, energia e ambiente che sono i quattro grandi pilastri delle tecnologie emergenti, e abbiamo analizzato quali possono essere i mestieri legati a queste tecnologie“, spiega, “Abbiamo rivolto tutta la nostra azione in una modalità che prevedeva sempre la presenza di persone di aziende e università, ricercatori, docenti e ragazzi giovanissimi che avessero, ad esempio, fatto l’Erasmus oppure che stessero facendo il dottorato di ricerca, insomma che raccontasse un po’ qual era stato il loro percorso. Già in quegli anni veniva fuori che il percorso in generale era: ‘Ho fatto il liceo classico perché l’ha fatto mio fratello’, ‘Ho scelto il liceo scientifico perché ho fatto l’open day’, oppure ‘faccio l’avvocato perché mio padre ha lo studio’. Insomma, tutte quelle scelte del tutto emotive, non basate sui veri bisogni del mercato del lavoro. Già nel 1996 si sapeva quali sarebbero stati i mestieri del futuro”. 

Il grande fraintendimento della tecnologia nell’insegnamento

Per una persona abituata a sperimentare in prima persona come Martinengo, è necessario anche unire all’approccio teorico della didattica anche la pratica: “I giovani se non fanno non imparano. Questa è il mio stile di considerare l’apprendimento e invece quasi tutti all’università, e non per colpa loro, che cosa fanno? Insegnano quello che sanno e quello che sanno rischia di preparare una grande quantità di persone non adatte ad entrare nel mondo del lavoro, cioè già disoccupate. Su questo aspetto, che è appunto l’effetto della mancanza di orientamento da una parte, e dall’altra dal fatto che tutti i ministri che si sono succeduti dal 1985 a oggi, hanno sempre privilegiato nelle scuole, nel mondo della scuola in generale, l’acquisto di hardware, l’acquisto di software e poi, se avanzava qualche soldo, formare i docenti all’utilizzo”. 

In questo modo, le tecnologie nel mondo della scuola “sono state usate come device, e quindi certamente facendo una trasformazione digitale, ma intesa come ‘supporto’. La parola digitale, se ci si pensa bene, è il contrario di analogico, quindi stiamo parlando di supporto digitale e non scienza dell’informazione, cioè la capacità di trasformare informazioni in conoscenze, in know how, e quindi di integrare una competenza di base con strumenti che cambiano lo spazio mentale delle persone. È questo che le persone non stanno capendo, l’abbiamo visto nella Dad, l’abbiamo visto in questi anni con le videocomunicazioni e strumenti sempre più evoluti. Su questo tema, quindi, anche le facoltà cosiddette STEM hanno visto purtroppo una diminuzione di persone, di ragazze. Adesso sono molto meno le ragazze iscritte a scienze dell’informazione di quanto fossero nel 1990 e questo è un dato assolutamente italiano”. 

Scienza e impresa: la necessità di creare una cultura valida

Le problematiche legate all’università, e all’insegnamento in generale, si riflettono sulla percezione della scienza nel Paese, dove “neanche la pandemia ha aiutato a capirne l’importanza”, dichiara Gianna Martinengo. Così come la centralità di creare un mercato tecnologico competitivo, che sia in grado, partendo dalla ricerca scientifica universitaria fino alle imprese, di costruire un circuito virtuoso per la crescita.

Questo mi ha veramente demoralizzato”, continua l’imprenditrice, “Perché un fenomeno come la pandemia avrebbe dovuto far capire a tutti che non c’è innovazione se non c’è attività di ricerca, ma anche un’altra cosa: tutti parlano di tecnologie, ma non c’è tecnologia  senza scienza, perché la tecnologia deriva dal mondo della scienza, così come non posso pensare che ci si possa definire ‘azienda innovativa’ se non faccio direttamente investimenti in ricerca o non mi alleo con un centro di ricerca”. 

La questione “non è solo culturale dal punto di vista della percezione dei cittadini. Purtroppo è culturale dal punto di vista dei nostri decisori, perché fino a che gli investimenti in ricerca in questo Paese arrivano a una percentuale decente, e siamo sempre gli ultimi, non si avrà un effetto benefico che quella bellissima catena: investo nelle scienze, ho bisogno di più ricercatori, non sono più dipendente del mondo esterno, e quindi scienza, ricerca, impresa, persone, lavoro. Questa è la filiera corretta. E non si può continuare a partire dal fondo, parlare di donne e di giovani, che rappresentano l’energia meno espressa del nostro Paese, non sfruttata. Si parla di lavoro e si continua a insegnare per dei nuovi disoccupati mestieri che non esistono più, mestieri che si sa già che stanno evolvendo, mestieri il cui titolo, nome cambierà, perché la tecnologia va molto più in fretta di quanto le persone pensino”.

Far evolvere le aziende grazie alle donne

Invece le imprese “continuano a essere sempre più micro, sempre più piccole, perché la burocrazia di questo nostro Paese, le tasse che pagano gli imprenditori sul lavoro, sono tali per cui noi non siamo competitivi col mondo che ci sta intorno. Su questo si aggiunge che c’è questo vezzo di pagare poche tasse, quindi la corruzione, o a non capire che pagare le tasse è un diritto, soprattutto se tornano ad essere degli investimenti per il cittadino”.

Altro problema sono la mancanza di legami con il mondo dell’università che per Martinengo devono essere un mutuo cercarsi. “L’impresa deve fare innovazione, ma non basta fare il convegno, bisogna farla veramente, e non è fare più in fretta le stesse cose, o usare una tecnologia in modo un po’ becero. È capirne il il valore aggiunto e quindi cambiare mentalità costantemente, e quindi bisogna essere molto flessibili e in questo le donne sicuramente hanno qualche punto di vantaggio. Parlo da imprenditrice, ma anche da capo azienda, ma anche da associata, come sono stata per anni, in istituzioni varie. Sono rigidi gli uomini, hanno una visione più rigida, noi abbiamo una visione più flessibile anche della vita, abbiamo una visione circolare anche della leadership, siamo più attente a questi aspetti”. Purtroppo, le donne quando si avvicinano a ruoli apicali si rifanno più ai “modelli dei dei loro colleghi maschi, invece di mantenere le loro  specificità tutte femminili”. 

I “vizi” tutti italiani

Martinengo identifica altre criticità dell’impresa in Italia, tra cui il fatto “che questo Paese non ha mai scelto le persone per competenza o per merito. Questo in tutti i settori, dalla politica all’accademia, al mondo dell’impresa, al mondo delle istituzioni, al mondo della pubblica amministrazione. In fondo, sono solo le imprese che spesso hanno l’esigenza, soprattuto le piccole e medie, di valorizzare le competenze e il merito, perché poi è come un gioco di carte, le devi usare al meglio per poter vincere, e quindi hai bisogno di persone competenti, donne e uomini, giovani e meno giovani”. Invece, “Tutto avviene per cooptazione, per fiducia, perché ‘è un amico’”.

Gianna Martinengo, cosa è cambiato da ieri a oggi

La grande esperienza dell’imprenditrice ci aiuta a capire come si sia evoluta la presenza delle donne nell’impresa italiana, e quali sfide ci troviamo ancora oggi davanti. Il suo percorso atipico, tra le pioniere in un campo che si creava in quel momento, le ha permesso di interagire con i grandi conglomerati industriali dell’epoca, come FIAT e SIP, e con personalità di spicco come Michele Ferrero ed Ennio Doris. “Dal punto di vista lavorativo, come donna, non ho mai avuto problemi di nessun tipo. Sulla vita privata, invece, la fatica è stata tanta perché avevo due figli. L’inizio della mia attività, del mio andare negli Stati Uniti, era legato a una serie di eventi molto tristi della mia vita, tra cui anche la decisione dopo molti anni di lasciare mio marito. Lo avevo conosciuto a 15 anni, quindi altro che parlare dell’altro secolo. Anni in cui qualcuno incontrava un ragazzo che gli piaceva e poi se lo sposava pure, non avendo la possibilità neanche di andare al cinema da soli… Stiamo parlando dell’800”, scherza. 

Martinengo racconta però di aver avuto la fortuna “di incontrare una persona straordinaria con cui ho fondato il laboratorio di ricerca in intelligenza artificiale, che poi ha dovuto accettare l’invito ad andare all’estero. Mi sono dovuta occupare di e-learning, di e-work, ma anche di un e-marriage. E funzionano se c’è il fondamento, ovviamente”. L’avere affianco nella famiglia e nell’attività lavorativa “un uomo molto facilitante”, le ha permesso di conciliare i due piani. Ancora oggi, per molte donne, una vera e propria impresa.