In Italia la finanza parla eccome – anche – al femminile. Nonostante una narrazione spesso spinta a voler dimostrare il contrario, ovvero che il panorama finanziario sia poco interessante per le donne come risparmiatrici, investitrici, manager o imprenditrici, abbiamo invece una condizione molto diversa. Molti pregiudizi in questo senso sono stati abbondantemente superati e quello che si evidenzia è invece rapporto molto saldo tra universo femminile e le molteplici declinazioni del campo finanziario e, diremmo anche, tecnologico. Da tempo Women&Tech® esplora questo mondo, il fintech appunto (ovvero la tecnologia applicata alla finanza) per dare risalto a donne estremamente qualificate che oggi occupano posizioni di primo piano in aziende ed associazioni del settore. 

Quando abbiamo ideato il tema del Premio Tecnovisionarie per l’edizione 2016 – spiega Gianna Martinengo, Presidente di Didael KTS e Fondatrice dell’Associazione Donne e Tecnologie – non immaginavamo che avremmo centrato in maniera così efficace il punto. Dopo aver visionato i profili delle candidature pervenute, e aver visto l’entusiasmo generato dalle votazioni che hanno condotto alla scelta della rosa delle finaliste, ci siamo rese conto che, davvero, nel nostro Paese la Finanza parla al femminile. L’Italia è ricca di donne determinate, sensibili e attente, capaci di ricoprire ruoli decisionali con una visione allargata dell’intera azienda e del mercato internazionale nel quale operano. Che sanno fare sintesi e dunque superare la divisione dei saperi, per portare progresso e sviluppo alla società intera, non solo a parti di essa. Questa capacità rispecchia la filosofia della nostra Associazione, che oggi definiamo ‘SteAm, non solo Stem’, ossia dedicata a una condivisione armonica dei saperi, che comprenda Science, Technology, Engineering, Arts, Mathematics. Intendendo con Arts quella visione umanistica ed economica che deve essere assolutamente complementare a quella scientifica tradizionale.

Chi sono state le donne premiate in quell’occasione? Anna Amati, Fondatrice e Vice presidente di Meta Group e Membro del comitato esecutivo di Italia Startup; Roberta Benaglia, Socio fondatore e Amministratore Delegato di Style Capital Sgr; Barbara Bianchi Bonomi, Presidente di Children in crisis e Fondazione Angelo Bianchi Bonomi; Gabriella Camboni. CEO di BiovelocITA, il primo acceleratore Italiano dedicato al biotech;  Elena Casolari,  cofondatrice e Presidente Esecutivo di Opes Impact Fund, il primo veicolo di impact investing in Italia; Donatella Ceccarelli, Chairwoman of the Executive Board – Flick Privatstiftung; Anna Gervasoni, Direttore Generale di AIFI, l’Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt; Melissa Peretti, Country Manager American Express; Alessandra Viscovi, Direttore Generale di Etica Sgr; Doris Messina, tra le promotrici delFintech District, la prima community Fintech italiana in linea con le più moderne esperienze europee di hub internazionali e la prima piattaforma italiana di Open Banking API.

Ma la ricognizione di ‘Women&Tech®’ non si è certo fermata qui e dal 2020 in avanti è stato esplorato un ulteriore gruppo di donne leader in campo tecnologico e finanziario, dando vita così alla sezione Donne e fintech nell’ambito dell’iniziativa più ampia “Donne nella scienza”. I profili interpellati hanno consentito di constatare come da esse derivi un forte impulso innovativo al settore che presidiano. Per questa iniziativa abbiamo intervistato donne che gestiscono fondi di investimento dove le scelte di investimento vengono operate da sistemi di intelligenza artificiale, come Paola Gentili di TenSigma;  donne che assistono i consulenti finanziari in qualità di ‘virtual assistant’ sfruttando quasi esclusivamente strumenti tecnologici come Beatrice Cicala; donne che guidano alcuni delle più importanti ed innovative piattaforme di pagamento europee, come Elena Lavezzi di Revolut; donne che sfruttano la potenza dei dati per confezionare soluzioni di investimento sempre più a misura di risparmiatore, come Serena Torielli di VirtualB; donne – anche molto giovani – che sono arrivate al fintech muovendosi dall’ingegneria legale, come Marta Ghiglioni) e donne che coordinano impegnativi programmi di finanza a sostegno dell’economia reale, come Maria Ameli di Banca Generali. Professionalità eterogenee che ci danno la misura delle potenzialità del vasto mondo del ‘fintech’, che non è solo disintermediazione dai canali finanziari tradizionale ma innovazione profonda destinata a modernizzare la società.

Eppure, “lo stesso termine Fintech, neologismo come più volte ricordato che indica la fortunata unione di finanza e tecnologia, richiama a due settori considerati – ancora – tradizionalmente maschili. Le ragioni di questo ostinato approccio mentale e ostinazione a credere che sia naturale una prevalenza maschile in alcuni settori professionali sono state analizzati da centinaia di studi e ricerche di genere. Come spiega il blog Rendimento etico “possono nascere in famiglia, quando ad esempio i genitori trasmettono aspettative, anche inconsce, ai figli; continuano nei percorsi di studi, con gli studi STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ancora a prevalenza maschile; e si perpetrano nella produzione culturale, quando vengono ad esempio proposti personaggi “rappresentativi” in cui l’esperto di tecnologia è un maschio, così come l’ingegnere o il bancario; mentre la maestra o la cameriera sono donne. Un contesto che alimenta la percezione di “boys club” di alcuni settori. Ma le cose stanno cambiando, e molto. Da un lato vi è una generale presa di consapevolezza da parte della società e, a seguire, anche di brand, media, produzione culturale. Dall’altra assistiamo a un contesto lavorativo che sta evolvendo velocemente, a maggior ragione in quei settori, come il tech, dove la flessibilità è sempre stata una ragion d’essere, una caratteristica intrinseca. Pertanto, a fronte di un crollo dell’occupazione femminile in molti settori dovuto alle circostanze socio-economiche mondiali, la nicchia del fintech vede le donne ritagliarsi spazi importanti.
Il settore è di per sé in forte crescita, in più la diffusione del remote working per determinate professioni, permette (in parte) la conciliazione famiglia – lavoro che è sempre stato il principale ostacolo per l’occupazione femminile (perlomeno in un paese tradizionalista come l’Italia). Ecco dunque che nel fintech, che sta rivoluzionando il mondo bancario, le donne emergono. Ma a passo lento, nonostante le potenzialità. Secondo una ricerca Deloitte nei primi sei mesi del 2020 le fondatrici di startup hanno raccolto 875 milioni di dollari di finanziamenti contro i 12 miliardi dei colleghi uomini. Un divario enorme. Tuttavia, negli ultimi dieci anni, le fintech fondate da donne sono cresciute a un ritmo superiore rispetto a quelle fondate dagli uomini. Cosa può fare, allora, il fintech per l’impresa al femminile? Può certamente aumentare l’inclusione delle donne nel campo finanziario ma, potremmo dire, in campo imprenditoriale più in generale. Un’interessante iniziativa di Borsa del credito, una piattaforma che di recente ha cambiato nome – oggi si chiama OPYN – e che eroga credito a PMI senza le estenuanti istruttorie bancarie) ha posto l’accento con vigore sulla questione. Nel corso dell’evento ‘FinTech, sostenibilità e inclusione: le cose che servono”, si è ricordato come le donne abbiano subito in maniera più pesante – sul fronte del lavoro in particolare – i danni economici causati dalla pandemia. In Italia sono sparite nel corso dell’anno 4mila imprese femminili, secondo Confesercenti: un dato che ha interrotto un trend che era di crescita positiva (e superiore a quella registrata dalle nuove imprese fondate da maschi) fin dal 2014. Al tempo stesso però evidenze scientifiche continuano a mettere in luce come la diversity sia un valore e come (dato sintetizzato da McKinsey) le aziende dove c’è un miglior bilanciamento tra uomini e donne e quindi dove la diversity è un tema, abbiano reddittività superiore del 21% rispetto ai competitor (anche se le politiche per favorire la diversità di genere all’interno delle aziende aumentano con molta lentezza, nonostante si stia vivendo la rivoluzione ESG). Un dato che fa capire come sia ancora difficile colmare il gender gap economico. Il World Economic Forum, nel suo ultimo rapporto annuale, riteneva – pre Covid – ci volessero 257 anni. Ci chiediamo dunque ancora una volta: la tecnologia può migliorare la situazione? Può aumentare la partecipazione delle donne all’arena finanziaria ed economica? E’ un cammino avviato, un percorso tracciato, una strada inevitabile e ricca di opportunità. La disintermediazione, con gli strumenti dell’intelligenza artificiale e del machine learning, è certamente ciò che contente alle donne di aumentare le occasioni di accesso a servizi finanziari e di crescita professionale.