Pochi giorni dopo il lockdown, ho chiesto alle associate di Women&Technologies di esprimere con solo due parole il loro punto di vista sul periodo di confinamento. Ne è emersa una straordinaria nuvola di sentimenti, che racchiudevano un’esperienza vissuta intensamente, del tutto nuova, gravosa e ricca di incognite per il futuro (le mie personali parole sono state, per esempio, fatica e relazione).

Ebbene, dall’osservazione della nuvola ho compreso come da community fossimo diventate, noi dell’Associazione Donne & Tecnologie, una comunità.

Cerco di spiegare ciò che intendo: se noi cerchiamo sul dizionario la definizione di community (termine nato intorno alla fine direi degli anni ’90, quando vi è stato allo sviluppo di Internet), troviamo una definizione molto semplice: “Gruppo di utenti di Internet che si scambiano messaggi e partecipano a forum di discussione su argomenti di comune interesse”.

Ma se da community passiamo al termine “comunità”, ci rendiamo conto che non si tratta di una semplice traduzione dell’inglese: si aprono scenari molto più interessanti e attuali. Comunità, infatti, è un: “Insieme di persone che sono unite tra loro da rapporti, sociali, linguistici, morali, religiosi, famigliari, da vincoli organizzativi ad esempio in una azienda, unite da interessi comuni a livello nazionale, a livello cittadino, a livello mondiale”.

Comunità – di conseguenza – non è solo un insieme di relazioni strutturali (come sembra indicare la definizione di community: email, forum, social media, infrastrutture varie grazie alle quali possiamo scambiare messaggi), ma molto di più, cioè un insieme di obiettivi funzionali condivisi che si appoggiano su infrastrutture non solo informatiche. Comunità implica solidarietà, condivisione, ascolto, empatia, fiducia, inclusione, dono e generosità.  

Se si costruiscono comunità con queste caratteristiche, allora si riesce a realizzare l’innovazione sociale, perché si soddisfano bisogni sociali come risultato collettivo di una comunità sul territorio.

Questo processo richiede accordi, collaborazione, condivisione, dialogo e comportamenti innovativi da parte di tutti gli attori. Le competenze relazionali sono indispensabili, in questo processo.

Le comunità, oggi sempre più, possono anche essere in luoghi reali o virtuali, poco importa. Importante, infatti, è il “come” le persone si relazionano e con quale obiettivo.

Calandoci nel mondo delle imprese, vedo in questo caso tre livelli di relazione, alla cui base stanno le competenze relazionali:

  • Il livello operativo: sempre di più, nella nostra routine quotidiana di lavoro, abbiamo bisogno di colleghi collaborativi, capi che siano in ascolto, capaci di argomentare le loro scelte con trasparenza, dipendenti capaci di negoziare e proattivi.
  • Il livello personale: la relazione personale è importante; sempre di più impariamo da chi è il nostro pari o da chi ha avuto la nostra stessa esperienza.
  • Il livello strategico: qui conta la capacità di selezionare tra rumore e segnali; la capacità di ascoltare gli altri per capire dove evolve il mondo, lasciarsi ispirare dagli altri anche per anticipare e non inseguire i fenomeni sociali, alzare lo sguardo, uscire dalla nostra esperienza e guardare le cose come se fosse la prima volta…

Ognuno di noi è il punto di una rete; la rete cresce, si sviluppa e prospera quando tutti i punti si muovono per il bene comune, ossia di tutti gli elementi della comunità. Sfruttare i tre livelli delle competenze relazionali aiuta le imprese non solo a migliorare la motivazione e l’agire dei propri collaboratori, ma rende anche più semplice il rapporto con il mercato, le sfide, la competizione.

Gianna Martinengo