Quando mi viene chiesto “cos’è per te l’intelligenza?” si dà sempre scontato che io fornisca, dato il mio settore di competenza, una risposta in qualche modo legata all’intelligenza artificiale.

Non è questo il caso: voglio infatti indagare questa capacità mentale da un altro punto di vista e legarlo alla variabile “tempo che passa”.

Intelligenza è, a mio parere, la capacità di risolvere problemi, soprattutto quando questi non erano stati previsti. Per tale motivo gli umani sembrano (e probabilmente sono) più intelligenti degli animali: perché hanno imparato a reagire meglio di fronte agli imprevisti.

Una delle componenti dell’intelligenza è la memoria (imparare dagli eventi passati), l’altra è il lavoro di gruppo, ma ne potrei citare molte altre.

A noi piace pensare, ad esempio, che l’etica sia una forma di intelligenza. Infatti, nella storia a lungo termine, le società meno etiche prima o poi hanno dovuto soccombere nel confronto selettivo con quelle più etiche. È solo un punto di vista, sostenuto da esempi. (del resto, i punti di vista, resi espliciti, servono proprio per permettere di scegliere quello che più si adatta al nostro…).

Accanto all’importanza dell’intelligenza emotiva, che è alla base delle relazioni umane, ecco l’intelligenza naturale (quella degli esseri umani e, più in generale, degli esseri viventi), l’Intelligenza artificiale (computer science e scienze cognitive), l’intelligenza collettiva (che emerge da dialogo e interazione tra agenti umani e artificiali). Ecco poi spuntare anche la Ageing Intelligence… di cosa si tratta?

Ageing intelligence, il lascito alle nuove generazioni

Saggezza, maturità ed esperienza sono elementi di diversità legati all’età, tutti preziosi e caratterizzanti l’individuo nei tanti momenti della sua vita. Questa particolare diversità può contaminare in modo straordinariamente efficace l’intelligenza delle altre generazioni.

Le aziende – per competere ma anche per sopravvivere in un mutato scenario – hanno bisogno di un patto generazionale, di qualcosa che vada oltre il presente e che attinga alle competenze dei “seniores”. «Credo sia questo l’unico modo per provare ad immaginare un futuro diverso, che tenga insieme etica ed innovazione»: “cito, in questo, Nicola Palmarini, (ora a Newcastle, prima al Massachusetts Institute of Technology), che dirige il National Innovation Centre for Ageing del governo britannico, il centro di ricerca sull’invecchiamento.

In questo luogo si lavora per trasformare in “dati” quella che loro hanno definito come “Ageing Intelligence”, cioè l’intelligenza che deriva dall’esclusivo connubio tra saggezza ed esperienza.

Palmarini sottolinea anche che gli over 65 non sono (solo) persone da assistere e proteggere, ma sono anche «i consumatori del futuro, e rappresentano uno dei (pochi) motori di crescita dell’economia globale». Eppure, fa notare nel libro “Immortali: economia per nuovi highlander (Egea)”, «a loro si continuano a proporre scale elettriche, colle per dentiere e calzascarpe allungabili».

In una recente intervista apparsa sul supplemento io Donna del Corriere della Sera, dal tema “I nostri saggi e il futuro che verrà”, affermo: «Quando mi chiedono l’età rispondo: chiedetemi prima cosa ho fatto, cosa so fare”, perché è su questo “saper fare” che si crea il legame con i giovani. Ne sono fermamente convinta.

Anche le radici culturali della conoscenza, tramandate in azienda così come in famiglia, potranno aiutarci a ri-costruire il nostro Paese nei prossimi anni. Perché ignorarle?

Gianna Martinengo

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