L’iniziativa Milano in aprile ospita Stem in the City, incontri per promuovere la presenza femminile in settori tecnico-scientifici Però l’integrazione con il pensiero umanistico è il nodo del futuro
di Luisa Pronzato
La programmazione «non è solo digitare degli zero e degli 1, attraverso quegli zero e quegli 1 puoi cambiare tutto ciò che ti circonda», dice Ayanna Howard, ingegnera robotica tra le intervistate in Girls who code di Reshma Saujani, l’ex manager che ha fondato una non profit per stimolare l’entusiasmo per l’informatica tra le ragazze delle superiori. Il libro, pubblicato da il Castoro, non insegna a programmare ma a capire che esistono linguaggi ognuno con una logica. Propone l’informatica come scienza creativa e ispira a provarla con biografie e storie delle pioniere di ieri e di oggi.
«Infiltrate» le ha definite Nicola Palmarini, esperto di Intelligenza artificiale, nel saggio in cui analizza il rapporto tra ragazze, tecnologia, stereotipi e opportunità nella Quarta rivoluzione industriale. Momento in cui un pezzo di mondo annuncia disruption e crescite esponenziali, ovvero rottura dirompente e veloce con le tradizionali organizzazioni delle società. Scommessa di cambiamenti che il digitale, con i suoi limiti, iperboli e opportunità, propone con l’apparente asessualità del codice binario. La realtà è ancora un paradosso.
Fanno le designer delle interfacce web, aumentate del 67%, segnala LinkedIn; fanno le sviluppatrici (+40%); sono a capo delle funzioni tecnologiche (+60%). Solo dieci anni fa la presenza delle donne in questi mondi era ininfluente. E adesso invece ben il 53% di chi si laurea nelle materie Stem è femmina, avvisa il report Ocse di ottobre: scelgono matematica, fisica o medicina.
Il gap fra uomini e donne, però, resiste nell’occupazione, nelle carriere e nelle facoltà tecniche, informatica e ingegneria anche se meno evidente nelle specializzazioni come biomedica, ambientale, edile. «L’aumento delle laureate è il frutto del piano per l’orientamento verso le lauree scientifiche iniziato nel 2003», dice Raffaella Rumiati, scienziata del Sissa e vic presidente dell’Anvur, l’ente che valuta il sistema universitario e la ricerca del Miur. «È importante che più donne arrivino alle scienze, sia come modelli, sia per femminilizzare le commissioni che valutano i finanziamenti». Quando le donne osano, si vedono. Come l’astrofisica Marica Branchesi, appena riconosciuta da «Time» tra le 100 persone più influenti nel mondo. Appaiono nelle nuove professioni: tra i Big Data Engineer e i Digital Information Officer le donne sono il 25%, tra gli Esperti in Internet of Things, i Cyber Security, Data Protection e Mobile Application, sono tra e il 15 e 25%. Nessuna Data Scientist, mentre sono una donna su due uomini le esperte in metodologie «Agile», legate allo sviluppo delle applicazioni software.
Intanto l’incremento esponenziale della potenza di calcolo di Intelligenza artificiale, robotica, nanotecnologie prospetta scenari in cui le competenze Stem, Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, sono l’abecedario e la sintassi per parlare le nuove lingue. Non si tratta di diventare tutti e tutte competenti nelle tecnologie hard, quelle della programmazione, ma di sapersi muovere tra quelle soft, con cui abbiamo a che fare ogni giorno.
Usare un’app non basta per «cavalcare l’onda tecnologica». «Serve studio ed esercizio», dice Cristina Pozzi, autrice di 2050: Guida (fu)turistica per viaggiatori nel tempo e ad di Impactschool, non profit per portare nelle scuole e nelle università una nuova materia: il futuro. Significa immaginare il futuro per capire quando arriverà l’onda del cambiamento e quale sia il modo migliore per cavalcarla secondo le proprie inclinazioni».
Non è un caso che Stem in the city, la kermesse di scienze-tecnologie ed esercizi sulla parità tra ragazze e ragazzi promossa da Comune e Vodafone Italia nel 2018 abbia aggiunto una «A» che sta per arte intendendo il bagaglio artistico, letterario, filosofico, sociale. «Il digitale attraversa le culture e la società, le arricchisce e modernizza, ma non le fagocita», sostiene Gianna Martinengo, fondatrice dell’associazione Donne e tecnologia.
«Queste discipline favoriscono la capacità di astrazione senza la quale è difficile formalizzare concetti e idee, occorre anche comunicarle e quindi condividerle. L’innovazione ha bisogno di andare oltre le Stem. Se sapremo integrare con il pensiero umanistico e allargare all’altra metà della popolazione saremo in grado di innovare davvero».
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