1 – Quanto pesa il divario di genere nel settore scientifico e tecnologico?
Posso dirle quanto oggi “non pesa”.
Secondo i dati Ocse, riportati qualche settimana fa da Luisa Pronzato in un articolo del Corriere della Sera, il 53% di chi si laurea nelle materie Stem è femmina: le ragazze scelgono matematica, fisica o medicina.
Il problema non è più, a mio parere, indirizzare le bambine e le giovani verso qualunque genere di materia, anche scientifica o tecnologica. È poter poi garantire, in un futuro prossimo, a queste donne, mamme, manager, non solo equi compensi, ma anche reali supporti di welfare, la possibilità di raggiungere, con metodo, ruoli apicali nelle aziende. Questo indipendentemente dal settore scientifico: che dire di quello economico, che dire della politica?
2 – Da che cosa dipende il gender gap nelle scelte universitarie?
La nostra cultura è permeata da abitudini che vanno a braccetto col “peso” antropologico che ancora oggi le donne portano con sé: curatrici della casa, brave organizzatrici, inserite in un mondo del lavoro prettamente maschile. Difficile scardinare ed erodere convinzioni silenziose che strisciano ancora in qualche famiglia. Il gender gap può dipendere da mille fattori: da un’educazione che sino a oggi ha partizionato le attività “per maschi e per femmine”; da contesti di studio e ricerca che hanno tenuto lontano le ragazze in quanto elementi “estranei” a tutto ciò che era Stem (ossia afferente a Science, Technology, Engineering, Mathematics); da possibilità lavorative fumose, ossia non raccontate in modo corretto a ragazzi e ragazze che, a 19 anni, devono decidere cosa sarà della loro vita.
Questo è – anche – il motivo per cui ho fondato Women&Technologies: per affermare compiutamente il ruolo della donna in tutte le sue espressioni; per far emergere il suo potenziale anche nell’ambito tecnologico. Per raccontare storie di persone che hanno contribuito a far evolvere scienza e conoscenza.
Per questo, ancora, mi piace parlare non solo di Stem, concetto limitante, ma di SteAm, aggiungendo anche le Arts, ossia quel patrimonio umanistico che reputo essenziale ed inscindibile dalle scienze e dall’innovazione.
Desidero precisare un aspetto per me fondamentale: molto spesso vengo chiamata, come in occasione del Festival dell’Economia 2018, a partecipare ad eventi dedicati alla tecnologia correlata al ruolo della donna. La mia storia professionale, però, è nata e si è sviluppata in un diverso contesto: elementi fondanti del mio essere imprenditrice sono sempre stati il dialogo e l’interazione tra le persone (tutte, non solo le donne), essenziali per lo sviluppo sia dei business che delle comunità. Didael KTS, l’azienda che ho fondato e dirigo , è l’esatta espressione di questa strategia, che si esplica nella acquisizione, formalizzazione e comunicazione della conoscenza attraverso il digitale . Ad interessarmi è sempre stata la trasformazione della società , oggi sostenuta dalla tecnologia. Anche per questo ho sostenuto fortemente l’attività di ricerca, che dal 1983 mi ha consentito di collaborare personalmente con 400 realtà imprenditoriali, centri di ricerca e università in Europa, Stati Uniti, Canada, Cina e Brasile. Negli anni Novanta sono poi “arrivata” alle donne e all’innovazione tecnologica e sociale. Quest’ultima è il “motore” capace di sostenere il dialogo e di migliorare la quotidianità, anche delle fasce più deboli della popolazione.
3 – Su cosa si può lavorare per avvicinare le ragazze agli ambiti tecnologici?
Si può lavorare subito e bene con e per i bambini. Per esempio, come Associazione Women&Techonologies, Nel 2010 abbiamo ideato il progetto FutureCamp Europe, appuntamenti che aiutano i giovani e le giovani ad orientarsi tra i mestieri del futuro nei settori tecnologici più significativi, con particolare riferimento ad ambiti quali le biotecnologie applicate all’Agrifood, le bio e nanotecnologie, la nutrizione, la Green Economy, i nuovi materiali, la sostenibilità ambientale, l’Ict… Protagonisti sono i giovani dai 5 ai 18 anni, insieme ai docenti e alle famiglie. Tutti questi progetti vantano stretti legami con il mondo universitario, della ricerca e delle imprese.
In questi momenti vediamo la mente dei giovanissimi aprirsi a mondi nuovi, che diventano opportunità, esperienze appassionanti, strade da percorrere. “Ready for the future”, questo il motto che ci anima.
4 – Esiste un approccio femminile all’ICT e alla tecnologia? Se sì, quale valore aggiunto può dare una maggiore presenza femminile in questi ambiti?
La risposta è ovviamente sì. La donna è portatrice di soft skills che possono essere preziose per il settore. Hanno una capacità di gestire le risorse visionaria e circolare, ossia più ampia e comprensiva di tutte le variabili presenti. Sanno lavorare in gruppo in modo armonioso ed efficace. Sono resilienti, ossia si adattano alle mutazioni del momento (dote preziosa, in un mercato che viaggia veloce). Per quanto riguarda la gestione del potere, ossia la leadership, sono meno competitive e più inclusive rispetto agli uomini. Hanno uno “stile” che può risultare prezioso per far crescere e sviluppare questo mercato. Come ricordo spesso, inoltre, sanno “entrare nel merito”, portare una visione organizzativa capace di adattarsi alla complessità.
5 – Il progetto Women & Technologies, quali frutti ha dato?
Per far capire la portata di un progetto che cresce dal 2009, anno della sua fondazione, ecco alcuni dati: 50 progetti e 80 eventi (coinvolgendo un pubblico di circa 13.000 persone) ideati e organizzati in partnership con realtà private e pubbliche; 9 conferenze internazionali, 14 talk event; 3.150 persone coinvolte nell’ultimo semestre (18.000 dalla nascita).
Oltre ai Future Camp Europe già ricordati, cito l’appuntamento annuale di respiro ormai internazionale, il Premio “Le Tecnovisionarie®”, riconoscimento assegnato a donne capaci di “inventare il futuro” attraverso una visione innovativa, sostenibile ed etica. Dal 2008 il premio ha raccolto 900 segnalazioni ed assegnato 91 premi.
Nel corso degli anni l’Associazione ha coinvolto, 250 membri Università italiane ed estere, centri internazionali di ricerca, laboratori e dipartimenti scientifici, studiosi, accademici, enti pubblici e imprese, 350 relatori provenienti da 16 nazioni diverse, 6.000 partecipanti, 300 operatori della stampa, 80.000 visitatori unici, 120.000 accessi e 380.000 pagine visualizzate, 5.000 contatti Social.
Questi erano i numeri: per quanto riguarda i frutti dell’intangibile, posso dire che abbiamo costruito una rete di persone in costante dialogo con le istituzioni e con le aziende in merito ai temi dell’innovazione tecnologica e sociale.
Il tema è cruciale e mi sta davvero a cuore. Siamo in uno scenario in cui nuovi fenomeni culturali di condivisione, collaborazione e solidarietà si stanno consolidando con un ritmo inarrestabile e stanno radicalmente ridefinendo i rapporti tra individui e collettività. Non dobbiamo infatti dimenticare che il ruolo delle tecnologie digitali e il loro diffuso potere di connettività è centrale nel determinare nuovi bisogni ed aspirazioni antropologici, etici, sociali e democratici, ma è anche all’origine di molteplici forme di innovazione economica.
Grazie a questo, siamo giunti al cuore dell’evento di Trento.
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