Nell’anno 2000 ebbi modo di esprimere il seguente concetto: “Viviamo immersi in un mare di informazioni. A maggior ragione in una congiuntura storica in cui tutto ciò che è informazione è percepito come valore. Al punto che vi è chi discrimina la nuova povertà come mancanza di accesso all’informazione, ovvero incapacità di recepirla. È obiettivo delle Istituzioni, e in primo luogo della politica, rendere sempre più facile, più trasparente, più democratico l’accesso alle informazioni, in ciò facilitando il rapporto tra Istituzioni e cittadini”. Il contenuto si andava poi approfondendo, chiamando in causa il significato di “accesso” (inteso come possibilità di discriminare tra tante informazioni e trasformarle in conoscenza) e la differenza tra Comunicazione (che da enti e aziende viene trasmessa al cittadino in un dialogo che si fa relazione) e la semplice fruizione delle informazioni. Già allora, al tempo dei portali generalisti e delle esperienze di e-Learning che Didael (ora DKTS) andava proponendo, era chiaro che la conoscenza avrebbe dovuto essere distribuita, normata (perché fosse comprensibile discriminare nella mole di informazioni proposte) e di qualità, e avrebbe chiamato in causa i formatori istituzionali (la scuola, la politica, gli strumenti on line).

Questa previsione, a distanza di 19 anni, si è perfettamente avverata. Le informazioni si sono moltiplicate e oggi, in una società in cui il web permea ogni secondo della vita delle persone, il tema dell’accesso è prioritario. Però si è passati dal poco al troppo: troppe fonti, poca capacità di discernere, troppi attori improvvisati rischiano infatti di diminuire il valore della conoscenza condivisa.

Il Digital Learning, viaggiando su binari regolari e percorsi didattici ragionati, si è ritagliato un autorevole posto nel mondo della formazione e ha contribuito a migliorare l’apprendimento di numerose categorie di persone: si pensi ai corsi per gli studenti, per i manager, alla formazione continua aziendale, alle opportunità per eliminare il digital divide.

Là dove l’informazione è rimasta libera, è spuntato il caos: vi sono sacche di “anarchia informativa” che non aiutano l’utente, ma complicano il suo percorso verso una comprensione reale dei fatti. In una parola: non aiutano a “fare cultura”. Restano un rumore di sottofondo, difficile da sfruttare per un accrescimento personale o professionale.

Se è ormai consolidato che “Ogni processo di Digital Learning è essenzialmente dialogo e interazione tra persone mediato dalle tecnologie”, perché non poter parlare, in modo altrettanto autorevole, di una diffusione della conoscenza allargata, basata sulla fruizione autonoma del web? Quali figure delle Istituzioni o del mondo formativo possono aiutare ad approfondire il tema? Quanto all’infinito si potrà moltiplicare la conoscenza personale, prima di diventare inefficace? Quanto il Digital-Learning potrà essere di aiuto?

Non sarà forse che solo un approccio metodologico di costruzione della conoscenza può aiutare a “mettere ordine” nei Big Data (intesi in questo caso come insieme incredibilmente ampio di informazioni, reputazioni, sentiment, immagini, interazioni, contenuti)?