L’Intelligenza Artificiale (AI) è una risorsa, ma anche un pericolo, ma anche una sfida, ma anche un’esigenza per il progresso della civiltà, ma anche un’incognita. Queste affermazioni sono tutte vere e tutte false, specie per i media che non sempre comprendono i termini di base legati al mondo scientifico.

Invece noi sappiamo, – la divulgazione è proprio basata su questo assunto – che l’AI correttamente intesa è una vera opportunità, un ambito nel quale, proprio nel nostro Paese, le donne stanno fornendo un contributo prezioso. Perché? Non è evidente, né scontato, ma oso proporre che questa sia una disciplina… “olistica” , dove è necessaria la visione d’insieme dei problemi (e delle possibili soluzioni), e che per questo, come abbiamo detto più volte, le donne abbiano una marcia in più.

Come ben spiega il professor Stefano Cerri, Vice Presidente di DKTS, “l’Intelligenza Artificiale è una parte dell’Informatica. Quest’ultima consiste di Computer Science (scienza dei calcolatori), Scienze Cognitive (lo studio dell’intelligenza degli esseri animati) e Intelligenza Artificiale (la sintesi delle due componenti)”.

L’AI può contare oggi su una grande potenza di calcolo garantita dalle ultime macchine rese disponibili (spesso in rete, spesso composte da centinaia o migliaia di macchine) e da una grande disponibilità di dati (big data) grazie al web.

Questo ha permesso di realizzare sistemi di apprendimento automatico basati su reti neurali “profonde” (cioè meccanismi di analisi statistica basati su correlazioni) impensabili solo qualche anno fa. “Sfida dell’AI odierna – completa Stefano Cerri – è quella di analizzare e di seguito comprendere, con una difficile attività di sintesi ed interpretazione, la grande quantità di dati resa disponibile. In pratica quella che si definisce ‘AI centrata sull’umano’, cioè AI che si capisce, si può spiegare, si giustifica nelle sue conclusioni”.

Cos’è, oggi, l’Intelligenza Artificiale applicata nelle aziende e nel mondo della ricerca?

È un concetto-ombrello nel quale rientrano machine learning (apprendimento automatico), rappresentazione della conoscenza, ragionamento, constraint satisfaction (una tecnica molto potente di rappresentazione e soluzione di problemi complessi), robotica, sistemi multi-agente, comprensione e produzione di linguaggio naturale, e molte altre direzioni di ricerca e di applicazione. Insomma: la differenza fondamentale dell’AI rispetto alla Computer Science è che non ci si concentra sulle tecniche, ma sul risultato da ottenere per avere un comportamento giudicato “intelligente”. Una differenza molto importante.

AI non è solo il robot umanoide che auto-apprende, impara da solo a versare l’aranciata nel bicchiere (testimonianza reale presentata come “rivoluzione” in occasione di una delle passate edizioni di una fiera italiana di settore) o che dice “benvenuti bambini, ricordate di indossare la mascherina” all’ingresso di una scuola elementare. Non è nemmeno la proposta commerciale personalizzata in tempo reale per un target di clientela dopo aver ricevuto le analisi di vendita grazie ai big data. C’è molto di più. Ci sono l’ispirazione e l’ambizione di comprendere l’intelligenza umana, individuale e collettiva, in qualsiasi dominio applicativo, rappresentarla e “realizzarla” tramite sistemi complessi, umani e artificiali, in collaborazione.

A questa disciplina è richiesto un contributo di elevato profilo che, secondo gli ultimi articoli presentati ai convegni internazionali applicativi, si focalizza su due contenuti specifici molto importanti: il miglioramento della qualità della vita e della salute delle persone (malattie, povertà, pandemie, agricoltura per sfamare la popolazione…) e la sostenibilità (intesa come cambiamento climatico, biodiversità, protezione degli oceani, delle foreste…).

Mentre alcune donne italiane sono realmente pioniere dell’AI, e meritano giustamente la ribalta, giova precisare che troppo spesso si legge di una contrapposizione tra AI-ottimizzatrice della produttività e AI-tagliatrice di teste nelle aziende: un’associazione improvvida. Essa è del tutto priva di fondamento: tutti noi dovremmo impegnarci a contestarla, per aiutare l’Industria 4.0 a modernizzare il nostro Paese ed aiutare i nostri concittadini a vivere meglio. Esattamente come avviene in tutti i Paesi che sono nostro riferimento, sia in Europa che nel nord America.