Ma così non è.Nella disamina dei tanti mondi STEM che stiamo percorrendo in queste settimane, abbiamo sempre evidenziato come le donne, pur partendo da posizioni non di privilegio, né di parità, siano riuscite a farsi strada nei settori scientifici. Certo, i numeri non sono ancora paragonabili a quelli della presenza maschile, ma un segnale di “movimento” si è con piacere notato.Quando si entra, invece, nell’ambito della cybersecurity, tanto vale riportare indietro le lancette a un tempo indefinito, forse il tempo in cui i computer erano oggetti misteriosi gestiti da tecnici rigorosamente maschi rinchiusi in stanze fumose. In una parola: ci sono pochissime tracce della presenza delle donne. Perché?Non si può nemmeno parlare di pregiudizio nei confronti di soft skill considerate non idonee per queste tematiche. Il problema è più complesso, proprio come la cybersecurity. La sicurezza in ambito tecnologico ha più sfaccettature, che riguardano ogni interazione che le macchine hanno con gli aspetti consumer e business della società.Vi è infatti la sicurezza IT tout court, che è altro dalla sicurezza del dato, intesa come protezione, archiviazione, gestione. A ciò si aggiungono poi le certificazioni IT, baluardo della sicurezza, ovvero della base delle nostre relazioni: la privacy, anche in questo caso sia personale che business.Questi temi hanno fatto passi da giganti nelle aziende – si pensi alla sicurezza in ambito bancario assicurativo – con richieste sempre più puntuali agli operatori. Purtroppo, però, alla domanda di competenza non è per il momento corrisposta una adeguata offerta. In sostanza: vi è un disallineamento tra ciò che le aziende hanno bisogno per il loro IT e ciò che la scuola e il mondo accademico riescono a produrre in termini di conoscenze subito “pronte all’uso”. 

 Ancor prima che un problema di genere, è proprio un problema numerico. In un articolo del CINI – Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica si riporta che: “Il delta tra domanda e offerta nella cybersecurity secondo le previsioni dovrebbe raggiungere 1,8 milioni di persone a livello globale entro il 2022 e 350.000 solo in Europa”. Subito dopo, ecco che la questione “rosa” esplode: in questo settore, secondo la ricerca ”Women in Cybersecurity”, le donne rappresentano solo l’11% della forza lavoro. in Europa si parla addirittura di un 7%.Dunque, riassumendo: ci sono posti ma non ci sono competenze. E le competenze femminili latitano ancor di più. Non solo: l’immagine dell’uomo “della sicurezza” come slegato completamente dalla vita dell’azienda, persona solo in grado di “risolvere i problemi al pc” e gestire la protezione dei device è quanto di più anacronistico possa esistere. Al CIO, infatti, oggi si richiede una perfetta integrazione con le altre aree aziendali, sia con la direzione generale che con le risorse umane, ma anche con quella del marketing. Ecco perché la cybersecurity non è ancella, bensì protagonista di questa storia (oltre che essere un bacino importantissimo per l’occupazione, nel nostro Paese).Si diceva delle donne. In questo caso non si tratta di dare loro spazio, studiare progetti di welfare che consentano di crescere anche nella carriera. Occorre cambiare la mentalità di chi è già attivo nell’ambito della cibersecurity: l’uomo. Secondo, infatti, un articolo di Datamanager, che riporta i dati di un’indagine commissionata da Kaspersky dal titolo “Cybersecurity through the CISO’s eyes. Perspectives on a role report”: “Il 45% dei CISO (Chief information security officer) coinvolti avrebbe dichiarato che le donne sono in effetti poco rappresentate all’interno dei loro dipartimenti”. Come a dire: “Effettivamente è così, un po’ ci dispiace, ma andiamo avanti”. Poca ironia, purtroppo, dato che sempre la stessa ricerca indica che : “Solo il 37% delle organizzazioni interpellate adottano, o stanno per implementare, una procedura ufficiale volta a favorire una maggiore partecipazione delle donne all’interno dei loro dipartimenti di sicurezza informatica”. In questo mare molto grande, a quanto pare, non importa se i pesci sono maschi o femmine, non è una priorità raggiungere la parità di genere… dato che è importante riuscire a trovare qualcuno effettivamente competente.

 Come aiutare in questo contesto le donne? Fornendo loro percorsi di studio realmente efficaci, ovvero tarati sulle esigenze contemporanee delle aziende (non ferme a dieci anni prima). E predisponendole alla carriera aziendale, che inglobi anche l’ambito IT.Da questo punto di vista fulgido è l’esempio che proviene proprio da una delle più grandi aziende di sicurezza IT del mondo. Kaspersky ha infatti scelto come Vice President of Global Sales Network una donna, Evgeniya Naumova. Molto limpido il suo curriculum: una laurea con lode in management presso la State Technical University di Ulyanovsk; una vasta esperienza nel settore IT con particolare focus sulla sicurezza informatica; un MBA in gestione strategica presso la Kingston University; una laurea presso la Plekhanov Russian University of Economics a Mosca, con un dottorato di ricerca in Scienze economiche. Care donne, non è mai “solo cybersecurity”.