La Commissione Trasporti, nell’ambito dell’esame in sede consultiva della proposta di piano nazionale di ripresa e resilienza, ha svolto, in videoconferenza, le seguenti audizioni:

  • Confindustria digitale;
  • Roberto Cingolani, esperto della materia;
  • Confindustria Radio TV, Aeranti Corallo, Tv Insieme;
  • Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci);
  • Esperti della materia: Maurizio Decina, Gianna Martinengo, Franco Vatalaro.

Intervento di Gianna Martinengo

Introduzione

Sono molto grata a chi mi ha convocato per questo privilegio, che onorerò grazie alle competenze ed esperienze documentate dalla mia storia di imprenditrice pioniera nel digitale con un interesse attivo per l’innovazione nel settore delle infrastrutture e dei trasporti legati alle smart cities.

La mia visione è che la soluzione di problemi complessi non può essere che integrata, partendo da un approccio olistico e non parcellizzato. Di conseguenza, mi sento di sostenere che soltanto dall’interazione fra tre obiettivi, tre assi strategici, sei missioni e tre grandi obiettivi trasversali (162 elementi di una matrice a quattro dimensioni) si troveranno soluzioni adeguate alla complessità dei problemi. Ho imparato questo da imprenditrice di formazione umanistica ma con vocazione e specializzazione tecnologica, grazie a più di 50 progetti europei a cui ho partecipato e nei quali il tema fondamentale, trasversale, tecnologico e culturale è stato sempre: interazione e dialogo fra persone mediato dalle tecnologie

Queste esperienze europee mi hanno insegnato che l’unico approccio possibile in un processo innovativo a medio-lungo termine è quello per progetto, non per tema.

L’approccio per progetto prevede un cambiamento radicale di molti dei principi classici della gestione dell’innovazione, perché nel mondo digitale globalizzato sono indispensabili per qualsiasi progetto di successo: competizione, collaborazione e controllo di gestione.   Lo vediamo ogni giorno nelle imprese – che sono una forma di progetto … vivente!

Smart cities for smart people

Siamo di fronte ad una transizione verso una mobilità urbana molto più automatizzata: sensori ed effettori comunicano e guidano i veicoli (elettrici) da un luogo ad un altro riducendo al massimo l’intervento umano.

Esistono – a mio avviso – cinque sfide assai importanti. Interessante notare come queste sfide possano essere astratte e generalizzate a quasi tutti gli interventi di automazione.

  1. La tecnologia dei veicoli connessi esiste ed è sempre più affidabile, si tratta di continuare a svilupparla ed applicarla. Insisto: non solo applicarla, ma anche svilupparla. Ricerca di base, precompetitiva, industriale e sviluppo di applicazioni sono l’unico modo di anticipare il futuro per controllarlo e gestirlo.
  2. La normativa non esiste ed è indispensabile: i suoi tempi sono notoriamente molto più lenti e ciò non è compatibile con gli effetti desiderati. Politici ed amministratori non possono più separare le loro scelte dalla consapevolezza della realtà tecnico-scientifica.
  3. E’ indispensabile che gli utenti (da chi produce a chi applica, a chi usa, a chi facilita, ad esempio gli amministratori locali) siano consapevoli e ben disposti alla transizione, perché come sempre è avvenuto, in caso contrario si verificherà il rifiuto sistematico.
  4. La mobilità automatizzata nelle città non può essere efficace se non è estesa a sistemi interoperabili di mobilità in tutto il territorio: treni, navi, aerei, sia per il trasporto persone che per il trasporto merci.
  5. Infine, esistono modalità alternative di sviluppo che potrebbero ottenere gli stessi effetti cambiando radicalmente paradigma (nel caso specifico: sviluppando piste ciclabili dove possibile come in Olanda).

Fra queste sfide dello sviluppo legato all’automazione di processo ne esistono alcune che sono più rilevanti di altre, a mio avviso. Infatti, a partire da una mia audizione nel 2013 al Parlamento Europeo sul tema “smart cities” ho sempre sostenuto che fosse indispensabile specificare “for smart people”: la mobilità del futuro rappresenterà ciò che tutti chiamano “sviluppo sostenibile” se e solo se le persone saranno in grado di adottarlo.

Infatti, ritengo che vi sia un aspetto fondamentale dell’impatto del PNRR: esso non riguarda l’Europa del presente ma quella del futuro. In particolare, l’economia, la società e la cultura del futuro, cioè per semplificare: il lavoro del futuro. Tutti i lavori: dalla ricerca, alla formazione, alle imprese di ogni tipo e dimensione, alla pubblica amministrazione, alla giustizia, all’informazione.

Il lavoro del futuro come collante del PNRR

Il lavoro del futuro non possiamo prevederlo nei dettagli, ma sappiamo che non sarà soltanto robot, intelligenza artificiale, Internet Of Things; veicoli senza autista o treni ad alta velocità. Molte attività esercitate oggi necessariamente scompariranno ma altrettante emergeranno grazie a nuovi scenari. Queste nuove attività non saranno necessariamente legate a competenze di altissimo livello: ad esempio, nella smart mobility saranno necessari tecnici di livello medio-basso, dotati di diploma professionale ma anche di esperienza di comunicazione e di leadership (soft skills), per la manutenzione dei sistemi di sensori, effettori e reti di telecomunicazione e la gestione dei punti di applicazione (non solo gestione delle macchine ma soprattutto delle persone coinvolte). Tutti avevamo il timore che robot ed intelligenza artificiale riducessero ad un terzo la forza lavoro medio-bassa delle società avanzate, mentre ciò non è avvenuto e anzi: i nuovi mestieri si presentano quotidianamente mentre mancano le competenze necessarie per esercitarli. Fra tutti: pensiamo ai mestieri ed alle professioni della digitalizzazione.

Si tratta di migliorare la qualità dei nuovi mestieri, di anticiparne le esigenze e di preparare il terreno soprattutto adattando il contesto culturale, normativo, economico, sociale. Le politiche attive del lavoro non sono solo basi di dati della domanda e dell’offerta, ma istituzioni di accompagnamento dello sviluppo sostenibile imposto dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione. La formazione permanente degli addetti in qualunque settore merceologico, pubblica amministrazione inclusa (reskilling), non è un residuo della cassa integrazione, ma una nuova modalità di convivenza con l’accelerazione dello sviluppo socioeconomico.

Inutile dire che in questo contesto le varie fasce sociali attualmente marginali (donne, giovani, Meridione) possono divenire rapidamente attori fondamentali, a condizione che il cambiamento sia previsto, controllato e gestito ad esempio favorendo queste categorie con misure preferenziali in tutti gli interventi pubblici.

Impossibile prevedere oggi nei dettagli quello che sarà il lavoro fra tre anni, tantomeno fra dieci anni. La velocità di cambiamento della società globale digitalizzata non è neppure costante: essa presenta una accelerazione impensabile in precedenza, basta guardare l’evoluzione delle aziende più capitalizzate al mondo negli ultimi dieci anni. Per questo è giusto delineare un Piano (PNRR) e non un progetto: i progetti saranno a carico delle imprese, dei consorzi, dei singoli che li proporranno agli enti delegati della gestione del PNRR stesso.  Ma le linee guida dei progetti (cosa fare: obiettivi di massima, perché farlo: ragioni, come farlo: metodi e mezzi) devono essere parte integrante del Piano.

Naturalmente esistono elementi assai sensibili nei cicli di vita dei progetti, in particolare:

  • la stabilità finanziaria – che non può soltanto dipendere da investimenti a rapido ritorno, come il venture capital –;
  • la disponibilità di prodotti e servizi indispensabili per il progetto – che siano accessibili, come le reti a banda larga, le università ed i centri di ricerca di eccellenza, il contesto culturale dei media;
  • il peso relativo della gestione – che non deve soffocare le attività di progetto –
  • la valutazione competitiva – che deve essere realmente indipendente- (come nei progetti europei competitivi – esempio: HORIZON e prima IST, ESPRIT, …-, non quelli dei fondi strutturali!);

Per una volta, l’unica volta nella storia d’Italia, abbiamo una opportunità straordinaria: mettiamo al centro le risorse umane non come recettori di aiuti o di ore di formazione ma come sorgente di innovazione in progetti che trasformeranno la nostra società.