La tecnologia ha semplificato la nostra vita: questo assunto condiviso da tutti ha però dei risvolti che hanno a che fare con la disuguaglianza generazionale e che spesso vengono sottovalutati.
Infatti, i giovani hanno una conoscenza intuitiva di tutto ciò che è tecnologico, ma mancano di un know-how costruito in anni di lavoro ed esperienza acquisita “sul campo”. Dall’altra parte, gli over 50 rischiano di essere rapidamente emarginati da un mondo del lavoro che talvolta punta alla “rottamazione indiscriminata” per svecchiare il parco lavoratori, con il rischio di perdere la competenza di cui sopra, che spesso non viene trasferita.
Da una parte c’è velocità, dall’altra conoscenza. Da una parte c’è entusiasmo “naturale”, dato dall’età, dall’altra una consapevolezza e una maturità che aiutano ad allargare l’orizzonte conoscitivo. Che fare? Continuare a mantenere questi due mondi non dialoganti, anzi, impegnati a farsi la guerra per una sedia e una scrivania o provare ad armonizzare il tutto, trasformando una sfida in una opportunità? Quest’ultima soluzione mi pare la più ragionevole e la più vincente, oltre che quella capace di far sviluppare i talenti e di conseguenza tutto il Paese.
Ciò che da anni propongo, anche con le soluzioni e gli strumenti messi a punto da Didael KTS, è una visione che ragioni in termini di “patto generazionale”, ossia di scambio virtuoso di informazioni, di inclusione, di trasferimento delle tecnologie e del sapere in modo diffuso all’interno della intera società, non solo nel mondo aziendale.
Conoscere le tecnologie non è di per sé rilevante, ossia non è del tutto sufficiente: importante, infatti, è comprendere come utilizzarle, come attribuire loro un valore aggiunto che possa essere d’aiuto per lavorare e vivere meglio. È esattamente in questo preciso punto che le competenze di giovanissimi e meno giovani si incontrano e possono generare sinergie invece che opposizioni.
Con l’inter-azione tra generazioni e adeguate politiche di innovazione si potrà superare questo impasse e valorizzare il potenziale del singolo, indipendentemente dalla sua età anagrafica, contribuendo ad esempio a trasmettere soft skills in cambiamento ed evoluzione, valorizzando giovani a cui si richiede una competenza professionale ancor prima del loro ingresso nel mondo del lavoro, affiancando ed indirizzando adulti -lavoratori e decisori- alle prese con l’impresa 4.0, tema cruciale e spinoso su cui si riscontra ancora poca preparazione.
Occorre a questo punto fare un ulteriore passo avanti. Spesso siamo portati a pensare che l’evoluzione del mondo del lavoro riguardi i processi, l’automazione, l’organizzazione. Tuttavia talvolta sottovalutiamo il valore delle persone e delle loro abilità: sono questi gli agenti attivi che propongono-adattano-ottimizzano soluzioni nel momento in cui portano il proprio contributo al mercato. Ebbene, anche le suddette competenze sono in forte cambiamento, in questa transizione più o meno dolce che impatta sulle generazioni. Secondo il World Economic Forum, da qui al 2020 ci saranno nuovi paradigmi: là dove si richiedeva una capacità di gestire le persone, oggi è richiesta creatività; là dove si richiedeva capacità di negoziazione, ora si richiede capacità di coordinamento. E ancora, sempre più si parlerà di orientamento al servizio, flessibilità cognitiva, intelligenza emotiva, pensiero creativo. E di capacità di risoluzione dei problemi, l’attitudine che più è servita per traghettare anche l’Italia fuori dalla crisi economica degli ultimi dieci anni.
La conoscenza personale, il “tesoro che nessuno può rubare”, agevola e stimola l’attitudine al cambiamento. Per questo il patto generazionale funziona e funzionerà: la preparazione dell’adulto, basata sull’esperienza sempre in fase di aggiornamento, si appoggerà a quella più dinamica e reattiva dei giovani. In azienda tutti insegneranno a tutti, perché imparare sarà necessario, per entrambi i fronti.

Esperienza e cultura a braccetto, dunque, in una relazione intelligente e proficua per tutti. Una relazione che fa crescere l’impresa e la società. E che finalmente non parla solo la lingua STEM, ma anche STEAM, in cui A sta per “Arts”, come da anni suggerisco.

Gianna Martinengo